Come funzionano i marchi collettivi

Capita di frequente di imbattersi in marchi che non sono patrimonio di un singolo soggetto ma che vengono usati da più attori del mercato, sulla base di caratteristiche e valori condivisi. Vediamo qui come sono concepiti e come si possono utilizzare.

Cosa sono i marchi

In estrema sintesi, i marchi sono dei segni che permettono di distinguere un prodotto o un servizio di un attore del mercato da quelli degli altri.

I marchi possono essere fatti di parole ma anche di figure, suoni, forme, elementi animati e olografici.

Devono avere le caratteristiche di:

novità – non devono essere segni identici o simili e confondibili con quelli già in uso per prodotti o servizi uguali o affini;

liceità – non devono violare la legge o essere contrari all’ordine pubblico o al buon costume o idonei a ingannare il pubblico sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi che contraddistinguono;

capacità distintiva – devono essere capaci di far distinguere il prodotto o il servizio da quelli forniti da altri.

I marchi collettivi

Così come è possibile per un singolo soggetto – impresa o persona fisica – registrare e essere titolare di un marchio con cui contrassegnare e distinguere i propri prodotti e servizi, è possibile anche l’adozione di segni distintivi da parte di associazioni o raggruppamenti di imprese o soggetti pubblici, per dare atto di determinate caratteristiche di prodotti o servizi.

Parliamo in questo caso di marchi collettivi.

Il Codice della Proprietà Industriale ammette che possano ottenere la registrazione di marchi collettivi “le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti” e che tali entità possano concedere l’uso di detti marchi alle imprese associate, affiliate o aderenti.

La registrazione deve avvenire secondo la classificazione di Nizza, con specifica indicazione delle classi di prodotti o servizi a cui afferisce il marchio.

La possibilità delle singole imprese di utilizzare il marchio collettivo è legata al rispetto da parte loro del regolamento d’uso, che necessariamente deve essere stilato dal soggetto che registra il marchio e allegato alla domanda di registrazione.

Il regolamento è il fulcro della disciplina: esso stabilisce quali imprese e soggetti possono utilizzare il marchio e in particolare quali caratteristiche devono avere i prodotti e servizi per potersi dotare del marchio, ad esempio in tema di metodi di produzione o di utilizzo di materie prime, e in generale la condotta richiesta agli aderenti.

Il regolamento inoltre stabilisce anche il sistema di controlli del rispetto delle norme in esso contenute e quale sia il soggetto deputato a detti controlli – oltre al medesimo titolare del marchio, i controlli possono essere assegnati ad un organismo terzo e indipendente. Prevede infine anche un sistema sanzionatorio per le violazioni della disciplina.

Nel caso in cui i marchi collettivi indichino una provenienza geografica, chiunque produca o commercializzi i prodotti in questione e provenga dall’area a cui il marchio fa riferimento, ha diritto a fare uso del marchio, a patto che rispetti i requisiti richiesti dal regolamento.

Qual è la funzione di questi marchi?

Essi servono a indicare al pubblico che il produttore o fornitore aderisce ad una specifica associazione o consorzio ma soprattutto che condivide e rispetta un determinato protocollo di produzione di beni o erogazione di servizi. Garantisce dunque al pubblico che quei beni o servizi rispettano i requisiti dettati per l’utilizzo del marchio e che possiedono determinate caratteristiche atte a distinguerli dagli altri prodotti o servizi analoghi. 

Pensiamo ad esempio ai marchi quali “Grana Padano”, “Prosciutto di Parma”, “Pura Lana Vergine”: essi danno conto al potenziale cliente di un determinato tipo di lavorazione, di origine dei prodotti, della materia prima utilizzata. L’acquirente, nel comperare il prodotto, farà affidamento nel fatto che il bene possiede le qualità e caratteristiche garantite dalla presenza del marchio collettivo che vi è apposto.

Al contempo, il marchio è anche un efficace strumento di comunicazione per chi se ne avvale, che beneficia della reputazione del medesimo e dell’affidamento che gli acquirenti fanno su di esso.

I marchi di certificazione e i marchi pubblici di qualità

Sono marchi collettivi anche i marchi di certificazione, che garantiscono l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti e servizi.

In tal caso i soggetti autorizzati alla registrazione del marchio devono essere accreditati a garantire dette origine, natura, qualità e non devono essi stessi provvedere alla fornitura dei prodotti o servizi che certificano.

Inoltre, l’uso del marchio da parte delle imprese non è legato alla loro associazione o partecipazione agli organismi che ne sono titolari.

Anche in tal caso è necessaria l’adozione di un regolamento e il rispetto del medesimo da parte di coloro che vogliono ottenere l’uso del marchio di certificazione.

È questo il caso, ad esempio, dei marchi che certificano i cibi halal o kosher.

Sono affini ai marchi finora illustrati anche i marchi pubblici di qualità, vista la loro funzione, ma in tal caso si tratta di marchi che trovano la loro origine nella legge. Ve ne sono diversi esempi a livello comunitario, come il marchio di qualità ecologica dell’UE, “Ecolabel EU”, previsto dal Reg. CE 66/2010.

Foto di Gavin Allanwood.
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