Recentemente è entrata nel nostro ordinamento e nel nostro mercato la società benefit, un modello societario che sta suscitando interesse. Qui esploriamo le sue caratteristiche e che cosa la rende uno strumento interessante per chi vuole perseguire un’attività imprenditoriale ad impatto sociale positivo.
L’ispirazione
Da questa iniziativa di matrice privata sono ispirate le legislazioni di alcuni Stati americani, che introducono nel loro ordinamento la Benefit Corporation, votata al profitto e al contempo al perseguimento di obiettivi di positivo impatto sociale.
La disciplina italiana
In Italia – primo Paese UE a farlo – le società benefit vengono introdotte dalla legge 208 del 2015.
Essa le definisce come le società “che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.” (Art. unico, comma 376).
Dunque le benefit sono società che perseguono il profitto e che al tempo stesso hanno lo scopo di apportare beneficio alla comunità.
La legge precisa che possono essere benefit le società commerciali previste nel codice civile (Libro V, titoli V e VI).
Non si tratta quindi di un nuovo tipo societario ma di una particolare caratterizzazione che i tipi societari esistenti possono assumere, pur continuando a essere sottoposti alla disciplina codicistica. Ciò comporta anche che la scelta di essere benefit non abbia conseguenze sul trattamento fiscale della società (ad esempio dia titolo a benefici fiscali o sgravi contributivi).
Per essere qualificata come benefit, dunque, è richiesto dalla legge che la società, nelle forme tradizionali sopra previste, indichi nel proprio oggetto sociale “le finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire” (comma 379).
La normativa prevede inoltre che le finalità di beneficio comune siano “perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto” (comma 377).
Il beneficio comune
Ma cos’è il beneficio comune? “Il perseguimento, nell’esercizio dell’attività economica delle società benefit, di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi” (comma 378) nei confronti di “persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse” (comma 376), quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile.
L’inserimento nello statuto degli scopi di beneficio comune li rende una parte essenziale e imprescindibile dell’attività sociale: non un risvolto collaterale ed eventuale ma uno scopo societario da perseguire al pari degli altri e in bilanciamento con gli altri. E’ quindi dovere degli amministratori provvedere al perseguimento di tali fini (comma 380) e non una facoltà.
É richiesto inoltre che sia individuato “il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento” delle finalità benefiche (comma 380). Si può considerare di far ricoprire questo ruolo a un amministratore a ciò delegato, a un dirigente e anche a un soggetto esterno.
Il responsabile avrà il compito di far sì che la società venga gestita nell’interesse dei soci e anche dei portatori d’interesse rispetto ai quali vengono in rilevo le finalità di beneficio comune. Dovrà adoperarsi affinché la gestione comporti effetti positivi o riduca gli effetti negativi dell’azione aziendale, sulla scorta di quanto individuato nell’oggetto sociale.
Gli standard di valutazione
La società benefit è tenuta a scegliere uno standard di valutazione esterno per valutare il proprio impatto benefico.
Lo standard deve essere, secondo l’Allegato 4 alla legge:
- Esauriente e articolato nel valutare l’impatto della società e delle sue azioni nel perseguire la finalità di beneficio comune;
- Sviluppato da un ente che non è controllato dalla o collegato alla società benefit;
- Credibile perché sviluppato da un ente che ha le competenze necessarie per la valutazione e utilizza un approccio e multidisciplinare per sviluppare lo standard;
- Trasparente perché rende pubbliche le informazioni riguardanti:
a) i criteri utilizzati per la misurazione dell’impatto sociale e ambientale;
b) le ponderazioni utilizzate per i diversi criteri previsti per la misurazione;
c) l’identità degli amministratori e l’organo di governo dell’ente;
d) il processo attraverso il quale vengono effettuate modifiche e aggiornamenti allo standard;
e) un resoconto delle entrate e delle fonti di sostegno finanziario dell’ente, per escludere eventuali conflitti di interesse.
Le aree che la valutazione deve riguardare sono:
Governo d’impresa: trasparenza, responsabilità nel perseguimento del beneficio comune, livello di coinvolgimento degli stakeholder;
Lavoratori: relazioni con dipendenti e collaboratori in merito a retribuzioni e benefit, formazione, opportunità di crescita personale, qualità dell’ambiente di lavoro, comunicazione, flessibilità e sicurezza del lavoro;
Altri stakeholder: relazioni con fornitori, territorio e comunità locali, volontariato e donazioni, attività culturali e sociali;
Ambiente: impatto ambientale alla luce del ciclo di vita dei prodotti e dei servizi, l’utilizzo delle risorse, i processi produttivi, logistici e di distribuzione, uso e consumo e fine vita (Allegato 5).
Alcuni standard esistenti utilizzati sono il B Impact Assessment di B-Lab, le linee guida di reporting G4 del GRI, il Global Compact Self Assessment di ONU Global Compact.
Le disposizioni degli allegati e in particolare dell’Allegato 5 fanno sorgere il dubbio che la valutazione debba riguardare l’impatto della società nel suo insieme e non solo le attività di beneficio comune ricomprese nello statuto. Ad oggi tale dubbio non risulta ancora risolto.
La comunicazione all’esterno del proprio impatto benefico
La società benefit è tenuta a dar conto ai portatori d’interesse delle proprie attività di beneficio comune tramite una relazione da allegare al bilancio societario, che deve essere anche pubblicata nel sito internet della società. A tutela di informazioni sensibili per la società, è previsto che alcuni dati finanziari contenuti nella relazione possano essere omessi (comma 383).
Nella relazione la società dovrà indicare:
- La descrizione degli obiettivi perseguiti, dei modi e delle attività messe in atto per il loro perseguimento e, nel caso in cui accada, le circostanze che lo hanno impedito o rallentato;
- La valutazione dell’impatto generato, secondo lo standard di valutazione esterno che contempli le aree individuate dall’Allegato 5;
- La descrizione dei nuovi obiettivi che la società vuole perseguire nell’esercizio seguente (comma 382).
Benefit si nasce e si diventa
Come abbiamo visto, ciò che nella forma caratterizza le società benefit è l’inserimento, nell’oggetto sociale, delle finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire.
Questo può avvenire sin dall’origine per le società di nuova costituzione. Ma anche alle società esistenti è permesso di aderire a questo particolare modello societario: ciò che dovranno fare è modificare opportunamente il proprio statuto, secondo le regole generali previste dalla normativa del loro tipo societario.
L’adesione al modello della società benefit consente inoltre alle società di aggiungere alla propria denominazione la dicitura “società benefit” o “SB” ( comma 379).
Le caratteristiche dei benefici
In assenza di prescrizioni normative, ci si chiede se i benefici debbano essere strettente correlati con il processo produttivo dell’azienda o meno.
Appare plausibile che, se una società profit intenda avere un impatto positivo, questo coinvolga la sua operatività e che quindi vi rientrino l’agire in maniera responsabile e sostenibile innanzitutto nei processi aziendali e produttivi (filiera responsabile, utilizzo di energie rinnovabili, spinta al welfare aziendale…).
Ciò non toglie che l’impatto positivo possa essere posto in essere anche da azioni estranee all’operatività aziendale (organizzazione di attività culturali e ricreative, incremento del verde, ecc.).
Obbligatorietà del perseguimento
Dato che il perseguimento delle finalità sociali viene inserito nello statuto, esso non può essere eventuale e neanche sacrificabile. È un obbligo giuridico che discende dal fatto di essere parte dell’oggetto sociale. Anzi il mancato suo perseguimento è soggetto alle censure dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in particolare in quanto può costituire pubblicità ingannevole, essendo le società benefit sottoposte al D.lgs 145/2007 e al Codice del Consumo.
Si cambia quindi paradigma rispetto a quella che è la Responsabilità Sociale d’impresa, vale a dire la messa in opera di azioni di positivo impatto sociale sulla base di un atto volontario ma non vincolante, pertanto sempre rivedibile o sacrificabile, anche sulla scorta delle concrete difficoltà che possono presentarsi nella gestione aziendale.
L’approccio
L’adesione al modello della società benefit non può certamente consistere ed esaurirsi negli adempimenti formali descritti ma dev’essere figlia di una scelta di campo e della volontà di attuare concreti comportamenti di reale impatto benefico.
Parte dunque dalla condivisione ai vertici e in azienda di un approccio al business che comprenda il credere che la sostenibilità e il beneficio comune siano elementi fondamentali e imprescindibili dell’azione.
Significa quindi che anche la governance e a cascata i processi aziendali devono essere permeati di questa filosofia e disegnati avendola come parte integrante delle valutazioni strategiche e operative.
E dunque non solo un approccio di natura formale ma un sentire che permea la vita aziendale e le relazioni con l’esterno, anche coi competitor.
Quando
Alla luce di quanto detto, è opportuno che una società sorga come benefit o aderisca successivamente al modello benefit quando i valori e la cultura aziendale sono già solidi e orientati ad avere un impatto positivo.
Pertanto è opportuno che l’adozione del modello benefit sia un punto di arrivo che segue la condivisione dei valori della sostenibilità e non che, viceversa, un’adesione formale avvenga prima che la società e l’azienda abbiano fatto propri i valori e la volontà di incidere positivamente nella comunità e nel territorio.
Questo anche perché essere sostenibili e mettere in atto le azioni d’impatto positivo non sono esclusiva della società benefit ma possono essere perseguiti da qualsiasi entità pur senza una forma o un modello specifici: non serve essere benefit insomma per avere impatti positivi duraturi.
Perché
Seppure come detto non sia necessario essere benefit per incidere positivamente sulla comunità e sull’ambiente, ci sono alcuni motivi per valutare l’adesione a questo modello. Tra i molti, personalmente voglio segnalare il fatto che l’inserimento in statuto degli scopi benefici assicura una continuità del loro perseguimento nel tempo e quindi un cambiamento duraturo nel modo di operare. Sarà sempre possibile modificare lo statuto e smettere di aderire al modello ma l’auspicio è che la strada intrapresa modifichi incisivamente e in modo permanente l’identità aziendale.
Certamente non è da trascurare neppure il fatto che l’adesione alla società benefit può costituire un vantaggio reputazionale, sia agli occhi dei clienti, sia dei possibili investitori, entrambi categorie sempre più favorevoli a chi opera in maniera responsabile.
Foto di Shane Rounce.
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